Dall'impronta digitale all'impronta vocale (Serafino Liberati - RaCIS)
Partendo dalla considerazione che la voce è stato uno dei primi strumenti utilizzati dall’uomo per comunicare e farsi riconoscere dai propri simili, si è cercato di analizzare un diffuso concetto che vorrebbe paragonare l’impronta vocale a quella digitale. Se infatti l’impronta di ogni dito è unica e consente il riconoscimento della persona, allo stesso modo ci si chiede se vale altrettanto per la nostra voce. Il problema è più complesso di quanto possa apparire, in quanto a differenza dell’impronta digitale che è immutabile dalla nascita alla morte, la nostra voce cambia e si evolve con il nostro fisico. In più oltre alla voce siamo riconoscibili per il messaggio che enunciamo, quindi implica l’analisi del binomio voce-linguaggio, il che lega l’analisi alla conoscenza della lingua e produce una doppia variabilità intrapersonale, con effetti anche microtemporali. Ne consegue che il processo di riconoscimento del parlatore presenti difficoltà analitiche superiori, il che rende complessa la realizzazione di sistemi di identificazione totalmente automatici. Nel campo delle indagini dattiloscopiche, invece, tali strumenti sono già funzionanti a livello nazionale, AFIS ne è l’esempio concreto. Il problema dell’applicazione di tali sistemi informatici nel settore fonico, tuttavia, non è solo legato alla tecnologia ed ai relativi investimenti ma anche alle normative vigenti nel Paese, in quanto l’efficacia si otterrebbe solamente disponendo di un database delle voci dei cittadini, all’interno del quale poter effettuare la ricerca. Se l’impronta vocale, pertanto, non è strettamente paragonabile a quella digitale, tuttavia rappresenta un valido strumento per l’identificazione delle persone e se attualmente viene sfruttato solo per scopi commerciali e (parzialmente) forensi, non è escluso che in un prossimo futuro possa integrarsi nei sistemi più generali di identificazione preventiva e giudiziaria.
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